giovedì 27 marzo 2014

Famiglia chiusa, Famiglia aperta

Famiglia chiusa, Famiglia aperta. (1973)


( tratto da “LA PRATICA DELLA LIBERTÀ” Elèuthera Editore 1996.)





La rivoluzione sessuale che tanti progressi ha fatto nel nostro tempo è una rivoluzione
essenzialmente anarchica, in quanto implica il rifiuto di attribuire un qualsiasi valore e autorità alle regole che lo Stato o le varie istituzioni religiose vorrebbero imporre agli individui. E possiamo affermare che se ha fatto tanti progressi non è certo a causa di quella «disgregazione della famiglia» che i moralisti (abbastanza a sproposito) sembrano vedere dovunque, ma perché nella società occidentale un numero sempre crescente di persone decide di condurre la propria vita sessuale secondo i propri criteri. Coloro che hanno profetizzato terribili conseguenze - bambini non voluti, epidemie di malattie veneree... - che risulterebbero dalla più ampia libertà sessuale di cui godono i giovani, sono di solito impegnati a preparare l’adempimento delle loro profezie opponendosi alla libera distribuzione di anticoncezionali ai giovani e a un atteggiamento verso il problema delle malattie veneree che elimini ogni mistificazione e ogni marchio di infamia.
Lo Stato ha ereditato dalla Chiesa il suo codice ufficiale in materia sessuale, ma è diventato sempre più difficile mantenerlo visto il progressivo declino dei presupposti ideologici su cui si basava. Alcuni teorici anarchici, da Emma Goldman a Alex Comfort, hanno sottolineato la connessione esistente tra repressione sessuale e repressione politica; e anche se sembra troppo ottimistico pensare, come fanno alcuni, che la liberazione sessuale stia aprendo la strada alla liberazione politica ed economica, è indubbio che per i singoli individui abbia allargato la strada verso la felicità. Se osserviamo la grande varietà di comportamenti socialmente riconosciuti e di legislazioni in materia sessuale, riscontrabili in periodi diversi e in Paesi diversi, risulta evidente che non esiste una base naturale immutabile per un codice di comportamento sessuale.
L’omosessualità maschile è diventata un «problema» da quando è stata fatta oggetto di
regolamentazione legislativa. L’omosessualità femminile non è mai stata un problema solo perché i legislatori (maschi) ne hanno sempre ignorato l’esistenza. È divertente considerare la trattazione legislativa delle cosiddette perversioni: «Chi sa spiegare per quale ragione il coito anale in Scozia sia legale tra uomo e donna, e illegale tra uomo e uomo? E perché in Inghilterra sia considerato invece illegale tra uomo e donna, e legale tra due uomini purché entrambi maggiorenni?» [1.]


Le sottigliezze legali escogitate nel tentativo di rendere più razionale la legislazione in materia sessuale ne rendono più evidente il carattere di assurdità. Ma questo significa che non esiste alcun codice razionale di comportamento in campo sessuale? No, soltanto è molto difficile individuarlo nel cumulo di norme irrazionali e di proibizioni irrilevanti con cui è stato confuso. Alex Comfort, che ha definito il sesso «lo sport umano più salutare e importante», ritiene che «attualmente tra le diverse culture varia molto meno il contenuto della sessualità che non la capacità individuale di goderne senza sensi di colpa». Egli formula due comandamenti o precetti morali riguardo al comportamento sessuale: «Non sfruttare i sentimenti di un altro» e «non causare mai la nascita diun bambino non voluto». L’averli definiti «comandamenti» diede lo spunto a un’obiezione, formulata da Maurice Carstaire: perché mai egli, pur essendo anarchico, aveva prescritto delle regole? Comfort rispose che una filosofia della libertà esigeva livelli molto più alti di responsabilizzazione individuale che non la fede nell’autorità. Sottolineava inoltre che la mancanza
di avvedutezza e l’irresponsabilità, che caratterizzano spesso il comportamento degli adolescenti odierni, è una conseguenza dell’aver prescritto un insensato dovere di castità invece di princìpi «immediatamente comprensibili e accettabili da qualsiasi giovane intelligente» [2].
Non bisogna certo essere anarchici per rendersi conto che la moderna famiglia nucleare risponde in modo inadeguato e soffocante ai bisogni naturali di avere una casa e dei bambini, imponendo tensioni intollerabili a molte delle persone che vi sono intrappolate. Edmund Leach ha scritto: «Lungi dall’essere la base di mia buona società, la famiglia, con la sua intimità soffocante e le sue segrete ferite, è la causa di tutte le nostre insoddisfazioni» [3.] David Cooper l’ha definita «l’ultima e  più letale camera a gas della nostra società», e Jacquetta Hawkes ha detto che «è una struttura che pone delle spaventose pretese nei confronti degli esseri umani in essa intrappolati, che si trovano gravati dal peso della solitudine, da eccessive richieste, da carenze e tensioni»[4].

Certamente ad alcuni di noi sembrerà ancora la soluzione migliore, ma che alternative ci sono, all’interno di questa società, per tutti gli altri, il cui numero si può facilmente indovinare ponendosi la domanda: quante famiglie conosco che si possano dire felici?
Consideriamo, ad esempio, il caso di un Mario Rossi. Sulla base di un po’ di serate felici
trascorse in discoteca, egli stipula, di fronte allo Stato e/o a qualche ente religioso, un contratto matrimoniale con Maria, barattando l’impegno a vivere insieme tutta la vita con l’autorizzazione ad avere rapporti sessuali. Ipotizzando che abbiano risolto il problema di trovare un posto in cui  vivere, osserviamoli un po’ di anni più tardi. Mario si dibatte ogni giorno fra casa e lavoro, e si sente preso in trappola. Maria ha la stessa sensazione nella sua vita isolata e solitaria di casalinga, sprecata tra il lavandino e la lavatrice. E anche i bambini si sentono in una gabbia, e sempre di più man mano che crescono. Perché la mamma e il papà non si rendono conto che staremmo tanto bene senza di loro? Non c’è bisogno di proseguire con questa storia, ognuno di noi la riconosce nel suo passato.

Se consideriamo le possibilità di realizzazione e felicità individuale, la famiglia attuale è certo meglio di quella ottocentesca e delle varie alternative di tipo istituzionale immaginate dagli utopisti autoritari. E inoltre, se è vero che al giorno d’oggi non ci sono più molti ostacoli al fatto che ognuno viva come gli pare, dobbiamo però tener presente che, nei fatti, ogni aspetto della società in cui viviamo è modellato a misura della piccola unità di consumo costituita dalla famiglia nucleare.  Come si può trovare casa, ad esempio, se i piani comunali per l’edilizia non considerano le unità non standard e nel settore privato non vengono concessi mutui o prestiti alle comuni? I ricchi possono sfuggire alla trappola con l’espediente di pagare qualcun altro che si occupi dei bambini e delle faccende domestiche.

 Ma la maggior parte delle famiglie sono investite da una serie di funzioni che non sono in grado di assolvere. Accettiamo questo sistema solo perché, nella nostra società, non esistono alternative. E infatti gli unici casi, citati da Leach, in cui i bambini «vengono allevati nell’ambito di gruppi allargati, che fanno perno sulla comunità e non sulla cucina materna» sono il kibbutz israeliano e la comune cinese. Ma molte cose sono sul punto di cambiare anche da noi: c’è la crescita del movimento di liberazione della donna, che sottolinea come un presupposto dell’emancipazione femminile sia il superamento della famiglia nucleare, basata sull’oppressione della donna. Ci sono gli esperimenti di comuni o di gestioni domestiche collettive, che senz’altro  nascono anche dalla necessità di suddividersi gli affitti sempre più alti, ma sono soprattutto una reazione al carattere di chiusura soffocante delle piccole cellule familiari.

Il fatto che esistano coppie infelici per la loro sterilità, quando in altre ci sono troppi bambini non voluti o trascurati, testimonia di quanto sia ancora forte la mistica della parentela biologica. Essa concorre inoltre ad alimentare quella tipica situazione che vede l’attaccamento morboso ei genitori ai figli, nei quali hanno investito gran parte del loro capitale emozionale, e il disperato tentativo dei figli di sottrarsi a questo amore troppo possessivo. «La vita familiare», scrive John Hartwell, «significa spesso un’atmosfera soffocante in cui i rapporti tra le persone sono ridotti a ima farsa, e in cui viene represso ogni barlume di creatività, considerato sintomo di devianza» [5]. Anche se siamo ancora lontani da un tipo di comunità in cui sia data la possibilità ai bambini di scegliere tra parecchie figure genitoriali quella a cui preferiscono legarsi, sono state però avanzate delle ipotesi interessanti, tendenti tutte al superamento della famiglia tradizionale a vantaggio sia dei genitori sia dei figli. C’è la proposta avanzata da Paul e Jean Ritter di una «casa dei bambini» che colleghi da venticinque a quaranta famiglie per quartiere6; c’è l’idea di una «casa dei giovani» che Paul Goodman ha ripreso da una analoga istituzione presente presso alcuni popoli «primitivi»; e c’è il suggerimento, avanzato da Eddy Gold, di Unità d’Abitazione Multiple che raccolgano varie famiglie [7]. Queste proposte non si basano affatto su un rifiuto di riconoscere le proprie responsabilità verso i bambini, implicano anzi un assunzione di responsabilità da parte dell’intera comunità ed implicano l’accettazione del principio, espresso da Kropotkin, che tutti i bambini sono nostri figli. Proposte di questo tipo vogliono inoltre favorire la responsabilizzazione dei bambini stessi nei confronti della comunità, superando una tipica carenza della famiglia tradizionale.

Le aspirazioni e i bisogni di ciascuno sono così diversi che sarebbe assurdo suggerire alternative stereotipate, come è assurdo che si esiga una conformità universale al modello ora esistente.
Da una parte dobbiamo constatare la deformazione caratteriale prodotta nel bambino dalle
carenze della struttura familiare, che si manifestano ad esempio sotto forma di possessività o di perpetuazione forzata di un ambito di rapporti ormai inadeguato. Dall’altra, però, ci troviamo di fronte, nel caso dei bambini allevati in istituti, a un irreparabile impoverimento affettivo dovuto alla mancanza di rapporti personalizzati. Dal momento che tutti conosciamo il tipico ambiente familiare, permeato da rapporti affettivicasuali e in cui vengono suddivisi il lavoro domestico e la responsabilità, possiamo immaginare facilmente una gestione domestica collettiva in cui, oltre alla più ampia collaborazione nelle questioni pratiche, sia garantita ad ogni bambino, anche il più diffìcile, una quantità sufficiente di affetto e attenzione. Più importanti della struttura della famiglia sono le aspettative con cui vengono investiti i ruoli al suo interno. Il tiranno domestico della famiglia vittoriana poteva esistere solo perché gli altri componenti erano disposti a tollerarlo. Significativo è lo slogan coniato tempo fa nell’ambito della pedagogia progressista: Generateli, amateli e lasciateli in pace. E questo, lo ripeto, non vuole essere un invito al disinteresse,  sottolinea invece che una buona metà dei guai e delle frustrazioni che una persona si trascina  dall’adolescenza e nella vita adulta hanno le loro radici in quella insidiosa attenzione con cui, da bambini, sono stati circondati per indurli a comportarsi secondo quello che altri ritenevano «il loro bene». Inoltre, la continua estensione del periodo di scolarità ritarda sempre più per i giovani il raggiungimento di una reale responsabilizzazione. Chiunque insegni in una scuola media superiore può osservare una notevole differenza tra i sedicenni che frequentano dei corsi di specializzazione professionale dopo il lavoro e i coetanei che sono ancora studenti a tempo pieno. In quei Paesi arretrati in cui non è stato ancora vietato il lavoro minorile salta all’occhio, nel panorama di super- sfruttamento, quella precoce maturità dei ragazzi che deriva dall’assunzione di responsabilità nel mondo reale. I giovani si trovano in un vicolo cieco: si abbassa l’età media della maturazione sessuale e del matrimonio (dal momento che la nostra società non lascia ancora molto spazio alle possibili alternative) e viene contemporaneamente ritardato il momento dell’inserimento nel mondo degli adulti (nonostante l’abbassamento, dal punto di vista giuridico, della maggiore età). Non c’è da stupirsi se tanti adulti sembrano così immaturi.

La famiglia, lungi dall’essere un modello di società veramente permissivo, si limita ad ostacolare la crescita delle persone. Ma d’altro lato, il fatto che per una minoranza di giovani - una minoranza che peraltro è in aumento - i comportamenti e i ruoli sessuali stereotipati, che per secoli hanno oppresso i loro antenati, abbiano perso qualsiasi valore, sarà certamente ricordato in futuro come una delle acquisizioni più importanti del nostro tempo.



Note al capitolo
1. Ian Dunn, Gay Liberation in Scotland, «Scottish International Review», marzo 1972.
2. John Ellerby, The Anarchism of Alex Comfort, « Anarchy», n. 33, novembre 1963.
3. Edmund Leach, A Runaway World, BBC Reith Lectures, 1967.
4. Jacquetta Hawkes, in C. H. Rolph (a cura di), The Human Sum, Londra 1957.
5. John Hartwell, «Kids», settembre 1972.
6. Paul e Jean Ritter, The Free Family, Londra 1959.
7. Teddy Gold, The Multiple Family Housing Unit, «Anarchy», n. 35, gennaio 1964


Note: Colin Ward (Londra, 14 agosto 1924 - Ipswich, 11 febbraio 2010) è stato uno dei maggiori pensatori anarchici della seconda metà del XX secolo. Architetto , insegnante, scrittore e  giornalista free-lance.[…] Gran parte delle sue ricerche si occupano dei modi "non ufficiali" con cui la gente usa l'ambiente urbano e rurale, rimodellandolo secondo i propri bisogni. Ha così scritto una ventina di libri su temi sociologici e urbanistici come il vandalismo e gli orti urbani, l'occupazione di case e l'autocostruzione. Si è inoltre occupato della condizione dei bambini in situazioni urbane e rurali e ha anche scritto alcuni pamphlet destinati a loro e pubblicati dalla Penguin: Violence, Work, Utopia. ( ripreso dalla scheda di Elèuthera.)




La Famiglia: (Voi ridete perché siamo diversi, ma noi ridiamo perché siete tutti uguali.)



La Famiglia.

Quando si parla dei diritti degli omosessuali, vengono contrapposti, ai diritti della famiglia. Ma cos’è la famiglia? E per famiglia naturale, cosa si intende?
In questo periodo la chiesa cattolica apostolica romana ecc..ecc, è molto attiva a difendere e diffondere pregiudizi omofobi, sessisti e razzisti.. usando il vecchio sistema di cui sono grandi maestri; quello di terrorizzare la gente, diffondendo  irrazionali paure.. rimanendo nei tempi moderni, basta ricordarsi quello che dicevano sul divorzio, quali immani disastri, quali catastrofi… e l’aborto? Ma non è della chiesa che volevo parlare, ma della famiglia, quel feticcio che viene sempre sbandierato e proposito e a sproposito dai cattolici..

Vediamo l’etimologia di Famiglia e di Matrimonio:
“La voce famiglia procede dal latino famīlia, "gruppo di servi e schiavi patrimonio del capo della gens", anche derivato da famŭlus, "servo, schiavo". Nel campo semantico di famīlia sono inclusi anche la sposa e figli del pater familias, a cui appartenevano legalmente.” Wikipedia.
“La parola matrimonio deriva dal latino matrimonium, ossia dall'unione di due parole latine, mater, madre, genitrice e munus, compito, dovere; il matrimonium era nel diritto romano un "compito della madre", intendendosi il matrimonio come un legame che rendeva legittimi i figli nati dall'unione. Analogamente la parola patrimonium indicava il "compito del padre" di provvedere al sostentamento della famiglia. In ogni caso, l'utilizzo del termine con riferimento all'unione nuziale si sviluppò con il diritto romano nel quale si diede riconoscimento e corpo al complesso delle situazioni socio-patrimoniali legate al matrimonium.” Wikipedia..
La famiglia è la prima forma di convivenza umana, sorta prima di tutte le altre ed è presente in ogni epoca e  in tutte le formazioni sociali.
Si dice famiglia naturale quando risponde ai due bisogni biologici: A) Necessità di continuare la specie. B) la necessità di tutelare i bambini nel periodo della crescita.
 La creazione della famiglia fa si che la procreazione non si risolva in atti sessuali momentanei e accidentali, senza che ci sia un’ulteriore convivenza, più o meno duratura.
In sociologia, si parla di famiglia quando:    

  1.    Modo di convivenza durevole e “socialmente approvato”.
  2.     Legati da vincoli che “l’usanza sociali riconosce” come. (Matrimonio)
  3.     Individui che abitano sotto lo stesso tetto.


Se la famiglia è necessaria per ragioni biologiche, le regole, all’interno della famiglia e della famiglia in relazione con la società, sono esclusivamente sociali. L’evoluzione del modo sociale di produzione, la divisione dei beni, hanno come conseguenza l’evoluzione del gruppo familiare..
I figli possono essere adottati, possono essere protetti e amati e per farlo non è necessario essere genitori biologici.  Nei termini; “socialmente approvato” e “l’usanza sociali riconosce” indicano che il concetto di famiglia è sostanzialmente culturale.  Il termine naturale si esaurisce nella procreazione, che però,  può essere fatta anche al di fuori della famiglia, o artificiale.
Ora, bisogna introdurre alcune distinzioni concettuali, perché il termine famiglia sta a significare molte cose diverse tra loro:
  •       Famiglia nucleare;  Un uomo una donna e la prole. Questa è la forma della famiglia che ha avuto un ruolo centrale nelle società industriali progredite.
  •     Famiglia poligamica; nelle sue diverse forme, A) Poliginia; un uomo con più donne. B) Poliandria; una donna con più uomini.
  •     Famiglia estesa; consiste di due o più famiglie nucleari, con legami parentali o no. (può essere allargata o multipla) Qui la famiglia nucleare svolge un ruolo ridotto, è stato il modello di famiglia più diffuso in Italia fino agli anni 70.
  •        Solitaria o single; Costituita da un unico individuo, senza prole.
  •       Monogenitoriale; Un genitore e la prole.
  •        Omogenitoriale; Genitori dello stesso sesso e prole..

E  altre ancora, tipo senza struttura genitoriale, o senza struttura coniugale.. o in relazione al sesso, con comportamenti tipo; omosessuale, bisessuale, eterosessuale o situazionale.  Una famiglia può essere anche un gruppo di persone che hanno un legame affettivo, ma non necessariamente sessuale, la famiglia può essere composta da soli uomini, o sole donne, con o senza prole, con o senza legami sessuali, ma colturali e affettivi,  che vivono insieme nella medesima abitazione.
Quindi non esiste una sola struttura famigliare ma molteplici, non si può parlare di famiglia, ma sarebbe corretto parlare di famiglie.


La famiglia non è un’ organismo stabile  nel corso dei tempi, si è sempre adeguata e modificata,  nelle trasformazioni di tipo economico, politico e sociale. Partendo da quando è stata scritta la Costituzione Italiana, contrariamente a quanto avveniva in altri paesi europei, buona parte della popolazione, viveva in famiglie patriarcali estese con più di tre generazioni e più unità coniugali. Perché l’Italia era un paese prevalentemente agricolo. Nella società rurale, le esigenze ed i bisogni dei singoli più deboli venivano assorbiti, soddisfatti e risolti dall’azione dell’intero gruppo familiare in cui il singolo viveva. Quindi la massima sicurezza sociale dell’individuo era ben protetta e ben tutelata dall’esistenza di solidi gruppi familiari il più estesi possibili: più una famiglia era ampia e solida più essa poteva tutelare i propri componenti. (Più era ampia più braccia per lavorare i campi.)

Al contrario nelle città, con l’industrializzazione, si verifica il fenomeno della nuclearizzazione. Accelerazione al processo di nuclearizzazione lo si ebbe grazie al fatto che i patrimoni e le eredità venivano tramandate in denaro che poteva essere diviso e, quindi, i figli eredi non erano più legati fra di loro da vincoli economici poiché cominciavano a svolgere attività indipendenti le une dalle altre costituendo nuclei familiari il più ristretti possibili. . (meno bocche, meglio è ).

La mia idea di famiglia, mia personale,  per un tratto l’ho condivisa con un compagno, da cui ho avuto due figli, poi con una compagna,  ora che sono diventata situazionista occasionale, nel senso che non voglio rapporti continuativi e duraturi, vivo da sola con due gatte... io la ritengo “bella, giusta e libera”.perchè rispetta le mie esigenze e i miei valori, ma non può diventare un modello per tutti, perché  sarebbe una cosa mostruosa.


martedì 18 marzo 2014

NOE ITO – Una femminista giapponese.

“Era giovane e bella... Dora le chiese: 'Ma non hai paura che le autorità ti possano fare qualcosa?'. Lei si portò le mani alla gola e rispose: 'So bene che lo faranno prima o poi'.” [1]
Bertrand Russell





Noe Ito nasce a Imajuku, sull'isola di Fukuoka, in Giappone, il 21 gennaio 1895. Come tutte le donne giapponesi, l 'aspetta una vita di obbedienza assoluta ad ogni tipo di autorità in una società rigidamente gerarchica, codificata, ritualizzata: come geisha, come madre, come prigioniera, come esclusa.  Scelse  un’altra strada; A 15 anni si sposa con un uomo più vecchio di lei di nome Fukutaro, il quale si impegna a sostenere i suoi studi, ma in realtà lei lo aveva sposato con la speranza di andare negli Stati Uniti, una volta giunti li, lo avrebbe lasciato.
Frequenta la scuola femminile di Ueno, a Tokio, qui fa amicizia con il suo insegnante di Inglese,. Jun Tsuji.
È un anarchico dichiarato; poeta, saggista, drammaturgo, traduttore, dadaista, nichilista, femminista e bohemien. È il primo traduttore in giapponese dell'”Unico e la sua proprietà” di Max Stirner. L’amicizia si trasforma in amore ed impegno politico, lascia Fukutaro e si sposa con Jun Tsuji, da cui avrà due figli: Makoto e Ryuji.
Dopo il diploma entra nella redazione della rivista femminile “Seito”, dove diventa caporedattrice e da una svolta decisamente radicale alla rivista, facendola diventare una rivista di critica sociale e decisamente femminista. Ito si distingue per i suoi articoli e per la traduzione di “The Tragedy of Woman's Emancipation” di Emma Goldman. In questo periodo incontra e si innamora di un giovane anarchico Osugi Sakae, anche lui è sposato. Nel 1916 la rivista viene chiusa d'autorità. Noe Ito e Osugi Sakae, tornano a vivere insieme, istaurando un rapporto basato sul libero amore., creando scandalo e un vero e proprio terremoto anche all’interno del movimento anarchico. In una casa del tè, Osugi, viene ferito con una coltellata da , Masaoka Itsuko, militante anarchica e femminista, che era stata un’amante di Osugi.
Come è facile immaginare, queste polemiche e scandali colpiscono maggiormente Noe Ito, in quanto donna, ma non le impedisce di impegnarsi ancora di più nelle lotte del movimento anarchico e nelle rivendicazioni, femministe, continua a tradurre le opere di Emma Goldman e di Pëtr Kropotkin, e fonda un gruppo di donne, “Onda Rossa, le Donne Ribelli” che assume dimensioni tali da preoccupare seriamente le autorità.
“Nell'ottobre del 1922, Osugi Sakae raggiunge clandestinamente Shanghai per discutere della creazione di un'Unione degli anarchici dell'Asia orientale e partecipare alla Conferenza dei socialisti dell'Estremo oriente. Parte poi per l'Europa, dove resterà per tre mesi, per partecipare alla Conferenza anarchica internazionale di Berlino del febbraio 1923. Il ritorno in Giappone di Osugi, nel luglio dello stesso anno, è preceduto da una lettera di Ito in cui lo esorta a tornare il prima possibile. A parte le complicazioni derivanti dalla sua quinta gravidanza, quello che più preoccupa la giovanissima anarchica sembra essere l'emergere di attriti all'interno del gruppo anarchico “Rodo Undo” che insieme ad Osugi aveva fondato ed animato prima della sua partenza per il vecchio continente.” [2]
La mattina del primo settembre 1923, il Giappone è colpito da un terribile terremoto, la città diTokyo è devastata, i morti sono più di 100 mila e 37 mila i dispersi. Le prime preoccupazioni del governo non sono quelle di assistere le vittime del sisma, ma di approfittarne per rappresaglie xenofobe (coreani e cinesi ) e l’eliminazione di “pericolosi” sovversivi: Socialisti, comunisti,  anarchici, femministe, sindacalisti , che si erano salvati dal terremoto vengono presi e uccisi sul posto.  Tra coreani Cinesi  e “sovversivi” si parla di oltre 2500 vittime. È dichiarata la legge marziale.
La squadra militare è guidata dal tenente Masahiko Amakasu, arresta Noe e Sakae insieme a suo nipote, un bambino di soli sei anni.
“I militari agiscono ferocemente, non hanno alcun ritegno nei suoi confronti così come nei confronti di Osugi e del bambino. Vengono strattonati violentemente, ammanettati, insultati. Una volta presi non vengono portati al vicino comando di polizia. Vengono trascinati poco più distante in un vicolo cieco della città. Lì vengono brutalmente picchiati a morte, strangolati e i loro corpi gettati in un pozzo, dove vengono ritrovati il giorno dopo. È il 16 settembre 1923, Noe aveva 28 anni.” [3]


Ma l’uccisione di Noe Ito e Sakae Osugi e del piccolo nipote ha una grande risonanza internazionale, con proteste ufficiali dell’ambasciata degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, anche in Giappone, il paese insorge indignato soprattutto per l’assassinio del bambino, e perché era stato fatto brutale scempio dei cadaveri.. Il governo è costretto ad ammettere “l’incidente”, ed ad ammettere l’eliminazione di 231 “pericolosi sovversivi”. Passa alla storia come: l'Incidente di Amakasu.  Il tenente Amakasu, che guidava la spedizione, viene condannato a dieci anni di carcere, ma ne farà solo due e rintegrato nell’esercito come capitano dall’Imperatore Hirohito. Nel 1924, per vendicare la morte, di Noe Ito e Sakae Osugi, l’anarchico Kyutaro Wada compie un attentato contro il generale Fukuda Masataro, fallendo nel proposito, il generale rimane ferito e Kyutaro Wada, viene arrestato e condannato a 20 anni di carcere, nel penitenziario di Akita, “Il 20 febbraio del 1928, attuando il modo di fuga preferito dai giapponesi in ultima istanza, si suicidò. Aveva 35 anni. [4]

Nel 1969, la vicenda di Noe Ito e Osugi Sakae è narrata dal regista Yoshishige Yoshida  nel film Eros più massacro (Erosu purasu gyakusatsu), considerato uno dei primi capolavori della Nouvelle Vague giapponese.





Note

[1] Bertrand Russell, nella sua Autobiografia, ricorda così l'incontro avuto nel 1921 con Noe Ito. Bertrand Russell, L'Autobiografia. Da Freud a Einstein: 1914-1944, vol. 2, Longanesi, Milano 1970. Dora Black Russell (1894-1986) è stata una scrittrice, attivista femminista e socialista inglese e la seconda moglie del filosofo Bertrand Russell.
[2] Anarchiche-Donne ribelli del novecento- Lorenzo Pezzica- Shake Edizioni -2013
[3] Anarchiche-Donne ribelli del novecento- Lorenzo Pezzica- Shake Edizioni -2013
[4] Museihushugi- Storia del movimento anarchico Giapponese- Victor Garsia-  Vellera- 1976



martedì 11 marzo 2014

La natura umana; tra biologia e cultura.



Mi sono ritrovata spesso, troppo spesso a controbattere o a discutere sul binomio natura e cultura. Parto, da una mia posizione ideologica, che rifiuta il ruolo subalterno della donna che la vede condannata dalla biologia, e la stessa  biologia che è benigna  nei confronti degli uomini.. Per pormi una domanda: In quale misura, l’uomo, (inteso come specie)  subisce nel proprio comportamento l’imperio della sua natura biologica?  Oppure sia culturalmente determinato, condizionato più dall’immagine di se stesso che dai cromosomi? Mettendo bene in chiaro che queste sono solo delle mie riflessioni, che non hanno nessun valore scientifico, dal momento che non seguirò nessun metodo scientifico .

Nel primo caso; quello dell’imperio biologico, vede un destino sottomesso, perché iscritto nei modi di funzionare della materia vivente, il secondo lascia maggior spazio alla coscienza e alla libertà di scelta. Se l’uomo è biologicamente determinato, come sembra indicarci parte delle teorie della biosociologia o dell’etologia sociale, le mete che ci possiamo proporre, non sono materia di speculazione filosofica, ma di indagine scientifica; quindi solo la scienza può decidere con competenza l’organizzazione sociale, perché solo la scienza può sapere quali siano le forme, conformi alle nostre peculiari caratteristiche biologiche. Quindi la nostra conformazione biologica, renderebbe inutile e folle ogni spinta  soggettiva al cambiamento.. Viceversa se è la cultura a dettare le ragioni del nostro agire, la possibilità di evoluzione diviene una caratteristica fondamentale della natura umana, e il futuro che ci aspetta non deve più essere scoperto per diventare conosciuto, ma può essere immaginato e costruito.. Il richiamo al determinismo comportamentale, rievoca vecchi fantasmi autoritari, che riducono l’uomo ad un automa biologico, ben programmato, mentre l’approccio culturale è in grado di garantire le libertà e il progresso sociale.

Il pericolo di fantasmi autoritari, non è insito soltanto nella pretesa di individuare a priori, comportamenti possibili, ma anche nell’idea opposta che non vi siano limiti biologici, la possibilità di inventarci il proprio destino, non ci offre, di per se, la certezza sulla qualità del “destino”..

Sia la cultura che la biologia ci vedrebbe adatti solo alla piramide gerarchica, perché se l’uomo non ha in se il senso della propria esistenza, la passività e l’indeterminazione che ne deriva, apre le porte a qualunque tipo  di determinazione esterna. Dio o lo stato, che è poi lo stesso.

Il fatto che la matrice biologica venga utilizzata per avallare teorie reazionarie, non vuol dire che tale matrice deve essere dimenticata. In pratica vorrei, cercare di attribuire la giusta collocazione per evitare di rimanere invischiati nella contrapposizione natura/cultura.
Dire che i comportamenti umani sono tipici della specie equivale, evidentemente,  a dire che sono geneticamente fissati. Le componenti genetiche del comportamento e il comportamento umano, non sono la stessa cosa. Nell’uomo, come in tutti gli esseri viventi, il comportamento è il risultato di diverse variabili;  la biologia e la cultura, sono solo alcune di queste variabili, perché vi sono impulsi  dell’ambiente esterno, il comportamento  di altri esseri viventi, della stessa o diversa specie, l’andamento meteorologico, l’escursione termica, ecc…ecc…
Quindi il comportamento umano non si può fissare in un modo univoco e costante, quello che gli etologi amano definire “automatico”, perché univoco e costante, non è il comportamento ma il combinarsi di diversi fattori, perchè ogni individuo non incontra lo stesso ambiente, non ha la stessa storia. Ma ciò non esclude che tra la formazione biologica degli esseri viventi e il loro comportamento esista una relazione profonda, ma è del tutto arbitrario, come fanno certi studiosi del comportamento animale ed umano, ritenere che tale relazione sia diretta, che abbia una relativa componente genetica, pertanto immodificabile. Risulta presuntuoso ritenere di poter risalire a posteriori di un comportamento osservato, sempre e comunque prevedibile, perché in ambiente diverso, il medesimo corredo genetico si combini in modo da produrre comportamenti inaspettati, e questo, credo che possa accadere, anche osservando il comportamento sessuale dei merli, figuriamoci nell’uomo..

 Dimenticavo; per comportamento si intende la manifestazione “esteriore”.

Il confronto tra il comportamento umano e quello animale, non tiene conto, di quello che nel comportamento umano è presente, ed è totalmente assente in quello animale.


Il comportamento animale, è sostanzialmente eterodeterminato. (soggezione alle altrui decisioni) Il comportamento di un animale, è dato dal patrimonio genetico e l’ambiente vissuto in maniera passiva. Il batteri lattici, hanno nel loro patrimonio genetico gli enzimi adatti per fermentare il lattosio, ma anche il glucosio, di questi zuccheri, fermenta quello che il caso o l’uomo, li mette a disposizione. Quindi quello del batterio è il risultato “passivo” delle caratteristiche dell’ambiente.. Certo che le cose diventa sempre più complicate, man mano si sale nella scala evolutiva, perché si complicano le conformazioni biologiche, e di conseguenza il rapporto con l’ambiente. Quindi gli animali fanno, quello che geneticamente sono in grado di fare, ma anche quello che l’ambiente li costringe a fare.
Anche per l’uomo il comportamento è il risultato dell’incontro, tra conformazione biologica, e ambiente. Ma l’ambiente, per l’uomo ha un altro significato, più ampio, di quanto ne abbia per gli animali, anche perché l’ambiente che influenza il comportamento umano è costituito in massima parte da individui della stessa specie, cioè dagli uomini stessi, che hanno la possibilità di esercitare condizionamenti vicendevoli, anche in assenza  di un contatto diretto e questo ne determina la possibilità di comportamenti umani individuali differenziati. L’uomo trascorre la propria vita in mezzo ad altri uomini, con regole, precetti opinioni, strumenti e oggetti creati dai suoi simili. L’insieme di queste norme e oggetti compongono l’ambiente artificiale dell’uomo. Artificiale perché creato nel corso della storia, quindi non prodotto dalla natura. Questo ambiente artificiale in cui l’uomo vive si chiama cultura..

Quindi il comportamento umano è “culturale e volontario” pur traendo la sua origine da fondamenti biologici. Anche negli animali, soprattutto nei mammiferi superiori la loro volontà viene esercitata, ma in maniera ridotta. Nell’uomo invece il numero delle azioni volontarie è talmente elevata che la differenza da quantitativa si trasforma in qualitativa. Da non dimenticare poi, la capacità d’astrazione che è tipicamente umana. che permette all’uomo di raffigurarsi, di immaginarsi nell’ambiente. In pratica l’uomo, tende a modificare l’ambiente in cui vive, e non a subirlo come capita alle altre specie. E tutto questo è cultura e non biologia.
 Il comportamento umano non è mai completamente controllabile, nessun regime, è mai riuscito a ottenere dai suoi sottoposti, un’adesione totale, perché nella società umana, è presente e sarà sempre presente la trasgressione, come resistenza a subire il condizionamento.
In conclusione, l’uomo può essere definito un’organismo bio-culturale, ma anche socio-ideologico e pratico-immaginario.